Piero e Gianni Boldini SUCCESSO: “E’ solo il participio passato del verbo succedere”. Il succedere é successo. É successo che un giorno la mamma disse: “Ragazzi, guardate cosa ci hanno regalato; la signora Lidia ci ha portato un giradischi, non so come funziona, guardate voi come si fa”Sembrava una valigetta. Nel coperchio un piccolo altoparlante, sulla base, un piatto che girava. “Si mamma, ma per sentire la musica bisogna avere dei dischi” rispose Gianni. “Aspetta, la signora mi ha lasciato anche questa busta colorata”. Era un microsolco Capitol 45 giri del trombettista italo americano Ray Anthony. Felici, io e mio fratello ascoltammo per ore il fronte e il retro del disco. Mi ricordo che conteneva una canzone che avevo sentito altre volte: “Torna a Surriento”. Le canzoni che si sentivano in quegli anni alla radio erano quelle di Nilla Pizzi, Claudio Villa, Natalino Otto e il Quartetto Cetra. Allora, in casa, si ascoltava la musica, ma nessuno di noi la conosceva, né tanto meno possedevamo strumenti musicali. In paese, solo un negozio vicino alla nostra bottega vendeva dei dischi musicali.E’ successo che, proprio nella vetrina di quel negozio, un giorno vidi un disco con un giovanotto americano in copertina, era il 7 di ottobre del 1958. E’ successo che da quel giorno la mia vita e quella di mio fratello è cambiata: quel giorno ci siamo portati a casa la voce di Elvis Presley. Non capivamo una parola delle due canzoni incise, erano in inglese, ma il sangue ribolliva. Suoni e armonie mai sentite si mescolavano con la nostra voglia di vivere, di gridare, di dare una scossa al nostro tranquillo tran tran. Erano suoni strani, per noi sconosciuti, erano ritmi che mettevano in moto le nostre gambe … e una voce. Ma che voce! Per noi ragazzi quindicenni, da quel momento, il modo di vivere la musica cambiò. Volevamo suonarla noi la musica, volevamo suonare musica nuova, volevamo fare “quella” musica, la musica di Elvis; non volevamo solo ascoltarla. “Papà, ci compri delle chitarre?” dissi io, il più “vecchio” dei fratelli. “Chitarre? Cosa ve ne fate? Le chitarre al massimo accompagnano una fisarmonica o un mandolino; piuttosto, perché non pensate di imparare la musica? Se imparate la musica … magari …”. Pur di seguire il sogno che stava nascendo in noi, é successo che accettammo il consiglio del papà. Aiutati da un amico di famiglia iniziammo a imparare la musica solfeggiando: “uno, due tre, quattro”, “uno, due, tre”, e avanti a battere la mano sul tavolo della cucina. Poi imparammo, solfeggiando, le note sul rigo musicale: “do, mi, sol, Fa diesis, re bemolle”. Ma che noia! Io e mio fratello volevamo suonare le chitarre! Volevamo imitare Elvis e un certo Gene Vincent. Iniziava il sogno, il nostro sogno. Arrivarono in casa un mandolino e un clarino di seconda mano! Finalmente arrivò il Natale del 1959. E’ successo che, i nostri genitori, forse per non sentire più le nostre lamentele, ci regalarono due chitarre, due chitarre uguali. Erano due chitarre “spagnole”, così noi chiamavamo le chitarre non elettriche, erano due strumenti di poco valore: ma che gioia! Dopo aver imparato ad accordarle (non ti dico le difficoltà iniziali), dopo aver imparato a mettere le dita della mano sinistra sui tasti del manico (le dita si accavallavano e dolevano i polpastrelli), dopo aver imparato con la mano destra a pizzicare le corde (tante volte si toccavano le corde sbagliate), é successo che cominciammo a farle suonare, cominciammo a far risuonare nella cucina i primi accordi. Il sogno pareva realizzato, ci vedevamo già su di un palco a suonare! In poco tempo siamo riusciti a strimpellare le canzoni di Renato Carosone. In quel negozio, si trovavano solo spartiti musicali di canzoni italiane. E allora avanti … avanti con le canzoni italiane, che, per fortuna, piacevano ai nostri genitori: “Torero”, “Guaglione”, “Luna Rossa” … Certo, non erano quelle di Elvis, ma suonando delle chitarre, e non un mandolino e un clarino, ci sembrava già di essere dei ragazzi moderni, non legati a quelle nenie che si sentivano cantare nei cantieri o dagli operai che si portavano al lavoro cantando. Passò del tempo … tanto tempo. Io frequentavo già la quinta ragioneria. Era l’anno 1962 e la scuola organizzò un saggio musicale. Ci volle del bello e del buono per farci accettare: “Il clarino va bene, la fisarmonica anche, ma delle chitarre! Che cosa potete suonare con delle chitarre!” diceva il Rettore dell’Istituto. E’ successo che con l’aiuto del professore di geografia, il mitico Gaiardelli, riuscimmo a presentarci sul palco del teatro del Collegio Rosmini con due pezzi: “Petite Fleur” (io al clarino, Gianni alla chitarra, l’amico Paolo alla fisarmonica); e … credetemi (!), una canzone rock americana allora in voga:“Rock around the clock” Paolo alla fisarmonica, Gianni, che con la chitarra imitava il contrabbasso,io alla chitarra ritmica). Fu un successo. Un grande successo.Nel teatro del Collegio Rosmini di Domodossola non si era mai pensato di poter ascoltare della musica Rock: quella sera era successo! A Villadossola c’era un giovane parroco coadiutore molto in gamba, molto scaltro. Venuto a conoscenza del nostro successo, ci fece sapere che avrebbe avuto piacere di ospitarci nel teatro dell’Oratorio di Villadossola: “Ragazzi, per Natale sto organizzando uno spettacolo di arti varie, se venite, potete suonare quello che volete.” Pronti, via. “Sì, ma con due sole chitarre, quali canzoni fare?” ci chiedemmo. Gianni ed io ci presentammo all’Oratorio: era il dicembre 1963. Stava provando un complessino formato da: pianoforte, contrabbasso, batteria, fisarmonica. Erano tutti ragazzi più giovani di noi, si facevano chiamare: “I G quattro”. Poi toccò il nostro turno; avevamo preparato solo un pezzo: “Torture” dei Fendermen, un complesso americano di Rockabilly. Ti immagini suonare in un teatro, seppur non tanto grande, con due chitarre non amplificate! Ritornammo a casa col muso lungo: “Se trovate due chitarre elettriche e un amplificatore venite pure, il pezzo è piaciuto, specie ai ragazzi più giovani” ci disse, dispiaciuto, don Germano. E’ successo, che tanta era la voglia di suonare, di suonare delle chitarre, di suonare delle chitarre in un vero teatro, che siamo riusciti a convincere un negoziante di strumenti musicali a prestarci due chitarre elettriche ed un piccolissimo amplificatore. Vittoria! Si ritornava alle prove. Il sogno si stava avverando. Finito di provare il nostro pezzo, il batterista de “I G quattro” ci avvicinò: “Volete che suoni con voi? Volete che vi accompagni? Il vostro pezzo verrebbe certamente molto meglio, anche a me piacerebbe suonarlo”. Beh, quella sera fu un altro trionfo, sbancammo il teatro, i ragazzi in sala chiesero il bis (specie le ragazze!!), lo facemmo; facemmo lo stesso pezzo … avevamo solo quello! Da allora io e mio fratello fummo battezzati: “i Boldini Brothers”, all’americana! Il sogno si stava avverando? Tanto fu il successo che l’anno seguente don Germano bissò lo spettacolo. “I G quattro” quella sera, era l’aprile del 1964, diventarono: “I G cinque”, con la chitarra di Gianni, e “I G 5 +1” con me che suonavo il clarino. E’ successo che da quel momento non ci fermò più nessuno. Stava nascendo qualcosa di speciale, il sogno era quasi realizzato. L’Oratorio di Vogogna ci chiamò. Poi, don Germano ci fece suonare ancora al Villaggio Sisma di Villadossola per la festa del paese, era il 30 aprile 1964. Una sera provavo con mio fratello e il batterista de “I G cinque” nel salone della casa parrocchiale di Domodossola, quando ci avvicinò un ragazzino in calzoni corti.Noi stavamo improvvisando una canzone dei mitici “The Shadows”, il pezzo si chiamava “Shotgun”.Il ragazzo ascoltò, prese lo spartito musicale, gli diede un’occhiata, ci guardò e disse: “Mi sembra che quello stop lo dobbiate fare in levare e non in battere”. Ci guardammo in faccia dicendoci: “Cosa vuole? Chi è?”. Dopo un attimo di pausa leggemmo lo spartito, solfeggiammo: “Aveva ragione!”. Era il Gigi. Diventò il nostro bassista, pur non avendo mai suonato il basso! Pensate che, le prime volte, quando provavamo, prendeva una chitarra, toglieva due corde e ci accompagnava. E’ successo che erano nati i “The Boys”. Io e Gianni alle chitarre, Gigi al basso, Gabriele alla batteria. Il sogno continuava a crescere… con tanta musica “nuova!”. Infatti, per la terza volta, suonammo all’Oratorio di Villadossola: era il 19 dicembre 1964; la formazione a quel tempo era composta anche dall’organista Giovanni Vanetti. Nel frattempo avevamo anche acquistato un nostro impianto acustico: un “Davoli 75” con due colonne amplificatrici. Eravamo diventati autonomi! Siamo arrivati alla fine del 1964: il sogno si realizzò. E’ successo che potevamo suonare la “nostra” musica, é successo che potevamo divertirci con la “nostra” musica: “Ragazzi, se venite a suonare nel mio club, vi diamo 10.000 lire a testa”. “10.000 lire (!), ma per quante serate?” risposi io al professor Gaiardelli; sì, era proprio il professore che ci aveva fatto suonare per la prima volta in pubblico al teatro del Rosmini. “Per ogni serata. Suonate quattro ore e noi vi diamo 50.000 lire”. Pazzesco, ci pagavano per suonare e farci divertire! Per divertirci davano a ciascuno di noi 10.000 lire a serata. Non ci potevamo credere! Fino ad allora non avevamo mai pensato di suonare e divertirci facendoci pagare. Poi … poi abbiamo suonato e ci siamo divertiti, pagati profumatamente, per il carnevale 1965 a Santa Maria Maggiore e per il carnevale ambrosiano a Macugnaga; ancora per la festa del Villaggio Sisma di Villadossola il 30 aprile 1965 … all’Enal di Villadossola il 31 luglio 1965, dove, per la prima volta, mio fratello usava una fiammeggiante Fender Stratocaster. Addirittura per 100.000 lire alla Lanterna Blu di Santa Maria Maggiore, sempre a Santa Maria Maggiore per Sant’Ambrogio del 1965… e come non ricordare lo Sporting Club di Santa di Santa Maria Maggiore? il Lido di Pallanza dove abbiamo cantato per la prima volta? … e Milano, nello Studio Sette, a incidere un disco tutto nostro? Era il 19 novembre 1965 … Il “continua” di questo sogno lo potete chiedere ad amici e parenti. Intanto é successo. Il sogno si era realizzato: suonavamo, ci divertivamo … e ci pagavano! Io, Gianni, Gigi e Gabriele, abbiamo però sempre pensato che il nostro successo fosse: “Solo il participio passato del verbo succedere”. Per fortuna succede che quelle chitarre suonano ancora, per fortuna succede che suonano per fare e farci divertire, per fortuna succede che suonano per fare beneficenza. Ancora oggi, quando suono per gli “Avanzi di Balera Ossolani”, mi succede di scorgere tra il pubblico gli occhi divertiti: di mio padre e di mia madre, del professor Gaiardelli, di don Germano e quelli di una ragazza (quella ragazza che applaudiva con simpatia quando abbiamo suonato per la prima volta all’Oratorio di Villadossola)… da lontano, mi pare di distinguere anche lo sguardo: di “Elvis”, degli “Shadows” e di “Mick Jagger”. E’ successo e succede… Avrete capito che questa non é una favola; é una storia personale, molto personale. E’ una storia che vuole raccontare come é potuto nascere a Domodossola un complessino beat nei primi anni ’60, gli anni in cui si iniziavano a sentire le canzoni di Bob Dylan, degli Shadows, degli Spotniks, dei Rolling Stones, dei Beatles, dei Kinks, dei Sorrows, degli Small Feces, di James Brown … Questa storia l’ho elaborata e inserita tra le favole che ho scritto per le mie nipotine, Olimpia e Teresa, perché le bimbe sono entrate in questa storia: Olimpia, esattamente tre mesi dopo essere nata, Teresa, circa tre mesi prima di nascere, quando, ancora una volta, mi hanno detto che avrei potuto suonare e divertirmi con la musica dei “The Boys” … e lei già c’era. C’era nella mia mente, nei miei accordi, nella mia voce. Infatti… é successo di suonare e divertimi a settant’anni con Teresa in arrivo, essendo nata il 24 gennaio 2014… é successo di suonare e divertirmi con Olimpia accanto … accanto ad una bimba di soli tre mesi (!!), essendo nata il 13 ottobre 2011. Note: – Gianni : mio fratello, – Lidia: la signora Grossetti, rivenditrice all’ingrosso di generi alimentari a Domodossola, – Il negozio di dischi: l’Armeria Fusari di Domodossola, – Il disco di Elvis Presley: Titolo: Elvis Presley con i Jordanaires – Edizioni: RCA Italiana microsolco 45 giri n°: 45N0652 – Costo lire 700 – Canzoni: DON’T di Leiber e Stoller, I BEG OF YOU di Rosemarie McCoy e Kelly Owens, – Il maestro di musica: il signor Gilberto Burberi di Villadossola, – Il professor Gaiardelli: il professore di geografia del Collegio Rosmini di Domodossola, – Paolo: Paolo Gagliardi, un mio compagno di classe, – Il parroco di Villadossola: don Germano Zaccheo, poi diventato Vescovo di Casale Monferrato, – I G quattro: ricordo al piano Giorgio Cerizza, al contrabbasso Gianfranco Guaglio, alla fisarmonica Giovanni Vanetti, alla batteria Gabriele D’Arco Menna, – Gabriele: Gabriele D’Arco Menna, il batterista, – Il negoziante che ha noleggiato le chitarre elettriche e il piccolo amplificatore: il signor Cordani di Domodossola, – Il Gigi: Pierluigi Saccani, il bassista, maestro di fisarmonica; colui che con Urbano Miserocchi costituì “I Domodossola” dopo che i “The Boys” si sciolsero nel 1967. “I Domodossola”: un complesso che partecipò al Festival di San Remo, al Cantagiro, al Festival di Venezia e che collaborò per parecchio tempo con la cantante Mina, – Il club in cui suonammo per la prima volta da “professionisti” era il Nonna Cia di Domodossola. FILASTROCCA Un Complesso Confesso che é successo che un complesso é stato ammesso, senza eccesso, a un consesso. Adesso, spesso é trasmesso di riflesso col permesso dello stesso: l’ha concesso! Non ha mai smesso. L’ha promesso.